Il flow in psicologia dello sport



Il termine flow, coniato dallo psicologo croato-americano M. Csíkszentmihályi (1990) agli inizi degli anni ’70, viene adottato in psicologia dello sport per indicare una condizione mentale in cui un atleta si trova talmente immerso nella sua prestazione, da sperimentare un vissuto di serenità e concentrazione, e da sentirsi totalmente assorbito dalla propria attività, fino a “dimenticarsi” di sé stesso, di ciò che accade intorno e, talvolta, persino del tempo che scorre.

👉 Si tratta di una condizione psicologica positiva sperimentabile in diversi contesti, che nello sport è riscontrata spesso in concomitanza delle migliori prestazioni (peak experiences). Entrare in uno stato di flow vuol dire entrare in uno stato di leggera trance, poiché tutto avviene in modo naturale e le azioni e i gesti dell’atleta si susseguono secondo una logica interna che sembra non essere gestita dal pensiero cosciente. Questo particolare stato mentale in cui attività fisica e coscienza si amalgamano vicendevolmente viene favorito da un’alta dose di motivazione intrinseca ed è la condizione ottimale per prestazioni eccellenti: l’individuo, fortemente automotivato, ha accesso a tutte le sue potenzialità, la sua concentrazione è totale e prova un forte senso di autoefficacia.

La grande tennista Serena Williams ha detto:
“Se riuscite a continuare a giocare a tennis quando qualcuno sta sparando con una pistola in fondo alla strada, allora quella è concentrazione, quello è essere nel flow”.

Generalmente, questa sensazione è facile da ottenere con compiti o attività molto stimolanti, ma può diventare difficile conseguirla in mancanza di stimolazioni o quando sono presenti delle distrazioni. In questi casi, è necessario uno sforzo volontario per mantenere un livello attentivo sufficiente allo svolgimento del compito. La caratteristica principale del flow è la sensazione di gioia spontanea, addirittura di esaltazione.

Nello stato di flow, gli individui sono talmente coinvolti dal compito che stanno compiendo, da perdere la consapevolezza di sé stessi, dimenticando i piccoli problemi, la salute, i conti da pagare, addirittura i successi nella vita quotidiana.

Secondo Csikszentmihalyi, ci sono nove componenti dello stato di flow:
Obiettivi chiari. Nello stato di flow viviamo una grande chiarezza interiore e sappiamo cosa deve essere fatto.
Forte concentrazione e attenzione focalizzata. Siamo completamente coinvolti in quello che stiamo facendo.
Perdita della sensazione di sé. Ci troviamo ad andare oltre la percezione di noi stessi e superiamo la nostra zona di comfort.
Senso del tempo distorto. Perdiamo traccia del tempo e siamo completamente focalizzati sul presente.
Feedback immediato. Vediamo subito i risultati di quanto bene stiamo facendo una cosa.
Bilanciamento tra sfida e capacità: l’attività non è né troppo facile né troppo difficile per il soggetto.
Senso di controllo: la percezione di avere tutto sotto controllo e di poter dominare la situazione.
Piacere intrinseco: l’azione dà un piacere intrinseco, fine a se stesso (esperienza autotelica).
Integrazione tra azione e consapevolezza: la concentrazione e l’impegno sono massimi. La persona è talmente assorta nell’azione da fare apparire l’azione
naturale.

Durante il flow, il cervello è tranquillo, le stimolazioni e le inibizioni dei processi nervosi sono in concordanza con le necessità del momento. Diversi studi compiuti su atleti che si trovano nello stato di flow hanno mostrato che le loro onde cerebrali vibrano al confine tra lo stato Alfa e lo stato Theta, operando in maniera del tutto simile alle onde cerebrali di chi è immerso nella meditazione. Comunemente si sostiene che usiamo solo una minima parte del nostro cervello. Questa teoria suggerisce che per aumentare la quantità e la qualità delle performance, bisogna lavorare più duramente per utilizzare una percentuale più ampia del cervello.
Quello che accade, in realtà, è il contrario. Quando si entra nello stato di flow, si vive quello che viene chiamata ipofrontalità transitoria. Transitorio significa temporaneo, mentre “ipo” è l’opposto di “iper” e significa rallentamento o disattivazione. “Frontalità” indica la corteccia prefrontale del cervello. In definitiva significa disattivare per attivare completamente. Queste aree della corteccia che vengono disattivate diventano sede per processi cognitivi superiori, dove si distingue la differenza tra il Sé e l’altro, il senso del tempo, il dialogo interiore. Ecco perché, nello stato di flow, il tempo sembra rallentare.

Sono gli stessi pattern cerebrali che i monaci tibetani attivano durante la meditazione profonda che dà loro la sensazione di essere “in comunione con l’universo”.
Nel flow, le nostre onde cerebrali – come detto – si trovano al confine tra lo stato Alfa e lo stato Theta, aprono le porte all’ipofrontalità transitoria, all’attivazione completa del potenziale del Sé. Il bisogno dello stato di flow crescerà assieme al perfezionamento dell’abilità, perché il flow si presenta nella zona nella quale gli  individui sono ispirati ad esprimere completamente il proprio talento.

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