Psicomotricità funzionale nelle scuole calcio
Di Armando Caligaris
Proporre esercitazioni adatte ad una tappa evolutiva di riferimento non è cosa facile. Soprattutto può essere pericoloso quando mancano competenze specifiche: fidarsi solo del buon senso dell’allenatore, che si deve sposare con quello del genitore e/o del dirigente sportivo, diventa preoccupante. Durante la mia attività tra campi di calcio e palestre, sono stato testimone di un’evidente soluzione riduzionista delle potenzialità dei giovani in una sorta di “robotizzazione”. Purtroppo pare essere sempre attuale la concezione dualistica dell’uomo (corpo e mente dissociati) che ha come prima conseguenza la svalutazione delle dimensioni cognitiva e affettiva. La parola “addestramento”, sempre in agguato quando si parla di attività sportive giovanili, sintetizza ciò che il padre della psicocinetica Le Boulch definisce l’“anatema devalorizzante”, ponendo l’accento sugli effetti negativi che esso può produrre sulla personalità e sulla qualità dell’atleta. Lo studio delle caratteristiche meccaniche di un gesto sportivo (biomeccanica) permette una descrizione precisa delle modalità esteriori dell’esecuzione e può eventualmente proporre un modello di un gesto ad alto rendimento. Quando quest’astrazione del gesto risulta oggetto di sottomissione alle leggi del rendimento, diventa assai grande la tentazione di utilizzare il drill (condizionamento tecnico). Ecco apparire lo “sportivo- robot”: una forma di alienazione investe il giovane sportivo, che si ritrova così ad essere quasi estraneo ai propri movimenti.
Nella psicomotricità funzionale, al contrario, si vuole considerare il movimento come una manifestazione “significante” della triade di un essere umano: il sistema senso-motorio, il sistema cognitivo e il sistema affettivo. Fra il “corpo oggetto” e il “corpo proprio” vi è dunque una netta diversificazione che si evidenzia nelle fasi dell’apprendimento.
La strutturazione dello schema corporeo
Lo scopo del lavoro psicomotorio induttivo è quello di rinforzare le funzioni non ancora sufficientemente sviluppate, conducendo essenzialmente verso le funzioni di percezione. Nella concezione behaviorista, l’organismo è considerato come un centro di reazione che risponde alle modificazioni dell’ambiente. Questo sistema, costituito da stimolo e risposta, si basa sull’attività naturale dell’organismo il quale, oltre a fornire la disponibilità per la ricezione delle informazioni, si espande ed è sempre la sede di un’attività propria. In questo modo la funzione di aggiustamento si traduce nell’efficacia della risposta motoria.
L’“aggiustamento” è quindi una funzione che permette l’attuazione delle esperienze anteriori, assicurando la strutturazione dello schema corporeo e, quindi, l’unità della persona. È proprio la funzione di aggiustamento che permette di adeguare il gesto e la postura alle condizioni del momento senza l’intervento della riflessione: ecco che la memoria psicomotoria del corpo, diversa dalla memoria concettuale, trova la sua ragione d’essere.
La presenza autoritaria dell’adulto, se pur fatta di spiegazioni e dimostrazioni piene di buone intenzioni, può essere in taluni casi un prezioso sostegno, in altri non solo non aiuta il bambino, ma al contrario lo disturba, limita le sue esperienze e mutila progressivamente la sua funzione di aggiustamento e la sua spontaneità, dando così luogo all’inibizione e all’insicurezza. Sia l’allenatore che il preparatore motorio non sono considerati solo come insegnanti, ma come mediatori che inducono ad un apprendimento partecipativo e intelligente.
Per saperne di più: Approccio psicocinetico al calcio. Mauro Caligaris. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2013.
Vedi anche: La valutazione funzionale dell'atleta. Mauro Caligaris