SdS - Scuola dello Sport, n° 114

ANNO EDIZIONE: 2017
GENERE: Rivista
CATEGORIE: Rivista SdS - Scuola dello Sport
PAGINE: 72

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DESCRIZIONE

Luglio/Settembre 2017

Rossana Ciuffetti, Francesco Giorgino, Paolo Butturini, Gianni Bondini, Claudio Bonivento, Giuseppe Manfridi, “Mimmo” Calopresti
Comunicare lo sport. Saper maneggiare gli strumenti della comunicazione per raccontare lo Sport e la sua epica
Il corso “Comunicare lo Sport”, pensato da Francesco Giorgino insieme a Gianni Bondini e Paolo Butturini, è nato per lavorare sull’affinamento tecnico e attraverso l’incontro con grandi personaggi del giornalismo italiano e incursioni in ambiti collaterali quali il cinema, il teatro e la musica, ha offerto l’opportunità al mondo dello Sport di allargare lo sguardo. L’attenzione, nell’era digitale, è di breve durata, le grandi storie invece hanno lunga vita e quelle che contano, come le grandi imprese dello Sport, restano per sempre memorabili.
La Scuola dello Sport è stata Il luogo in cui gli addetti stampa delle federazioni hanno potuto incontrarsi e confrontarsi, mettendo a fattor comune il mestiere, le migliori progettualità e le loro esperienze. Dal Centro Giulio Onesti, da Palazzo H, a Spoleto, dove per la prima volta il Coni è entrato nel programma del Festival con i suoi protagonisti: gli atleti, gli allenatori, i dirigenti che sono stati intervistati da grandi giornalisti e scrittori e si sono esibiti sul palco del Chiostro di San Nicolò, allestito per raccontare la storia dello Sport attraverso le fiaccole olimpiche. Una vittoria della Scuola Regionale dell’Umbria, che ha coinvolto il suo territorio, impegnato nella ricostruzione post terremoto, per raccontarne la forza, la leggerezza e le sue eccellenze.
Luoghi, tempi e modi diversi per allenarsi ad una migliore comunicazione. Lezioni di evoluzionismo, che lo Sport, scritto, letto e ascoltato merita anche fuoripista.

A cura di Gianni Bondini
Giganti dello sport “Forti e liberi”. Guardare lo sport dalle radici

Wolfgang Schöllhorn, Diana Henz, Fabian Horst  
Apprendimento differenziale: un turbo per il corpo e per il cervello. Parte prima: un primo bilancio
Sono ormai passati già due decenni da quando l’apprendimento differenziale è stato presentato per la prima volta su Leistungssport (Schöllhorn 1999). Da allora diversi studi hanno confermato l’efficacia di questo approccio nella teoria e nella pratica. Nonostante le insinuazioni e le polemiche talvolta suscitate, questo approccio si sta diffondendo su scala nazionale ed internazionale. Utilizzato da molti, spesso usato in allenamento come arma segreta, interpretato in diversi modi e con altre denominazioni, pochi approcci scientifici destano una tale “Ri-sonanza” emozionale e polarizzante. Il tempo trascorso e le esperienze acquisite ci consentono di fare un primo bilancio.
Nel prossimo numero presenteremo le ultime ricerche in campo neuronale, che confermano ulteriormente l’efficacia dell’apprendimento differenziale da un nuovo punto di vista.

Giorgio Visintin
Imparare guardando. Neuroni specchio e apprendimento per imitazione: possibilità e limiti

L’apprendimento per imitazione sfrutta le potenzialità dei neuroni specchio, una classe di cellule nervose di natura bimodale, che si attivano cioè sia con l’azione motoria, sia con la semplice visione del gesto. La loro azione favorisce l’apprendimento di nuove abilità nell’allievo e facilita la correzione delle stesse da parte dell’istruttore, che grazie alla simulazione interna innescata da queste cellule “speciali”, acquisisce informazioni di natura dinamica e ritmica che la sola visione esterna non può fornirgli. Le potenzialità del sistema specchio e le strategie di apprendimento sono molto diverse tra i gesti semplici e quelli complessi o difficili. Nell’articolo viene ribadita l’importanza del feedback: sul risultato e sulle modalità esecutive; sia quello fornito dall’istruttore, determinante in fase iniziale, sia quello cinestesico, raccolto dall’allievo con il proprio sistema motorio. Sono fornite alcune indicazioni relative alla scelta delle abilità da proporre agli allievi sulla base di età, attitudine e motivazioni, ed offerti alcuni consigli inerenti alla dimostrazione, che, grazie ai neuroni specchio, assume un ruolo centrale nell’apprendimento dei nuovi gesti. È anche proposta una differenziazione tra abilità motorie ed abitudini motorie. Viene contemporaneamente ribadita la scarsa efficienza del sistema verbale e ricordato che le istruzioni,  nella prima fase, dovrebbero essere poche, semplici e riferite esclusivamente agli aspetti strutturali del gesto.  Particolare attenzione viene dedicata al problema dell’errore, distinguendo gli errori “veri” da quelli “falsi” e dalle inevitabili imprecisioni iniziali. Viene infine evidenziato l’intervento potenziale dei neuroni specchio in alcune classi di sport e sono fornite indicazioni concrete per il loro migliore sfruttamento nel processo di addestramento e allenamento tecnico.

Alberto Cei
Mirare al bersaglio. La preparazione psicologica nel tiro a volo
Il tiro a volo richiede un elevato impegno psicologico e l’abilità di prestare attenzione solo a quegli stimoli che sono rilevanti per effettuare un movimento corretto e, di conseguenza, rompere il piattello. Le specialità olimpiche sono, inoltre, tra loro diverse, e ognuna richiede lo sviluppo di competenze attentive specifiche. Pertanto, è necessario conoscere quali siano le implicazioni psicologiche di questo sport partendo dalla conoscenza di come si svolge una competizione. La fiducia costituisce un fattore fondamentale nello sviluppo del tiratore e viene definita in termini di grado di certezza di possedere le abilità necessarie per avere successo nella propria disciplina. Si basa sulla convinzione di: sapere padroneggiare l’azione di tiro, saperlo fare in gara, sentirsi preparati mentalmente, percepirsi in forma, essere sostenuti dal proprio ambiente sociale, sentirsi guidati dall’allenatore e sentirsi a proprio agio sui campi di gara. Lo scopo di un programma di preparazione psicologica consiste nel determinare lo sviluppo ottimale delle abilità necessarie per gestire lo stress agonistico. Ciò avviene in un duplice modo, attraverso lo sviluppo di un dialogo costruttivo con se stessi e la scelta di una routine pre-tiro orientata, in una prima fase, a recuperare energia fisica e mentale e, in un secondo tempo, a rifocalizzarsi sul bersaglio successivo. Infine, la preparazione psicologica prevede specifiche esercitazioni per migliorare la concentrazione del tiratore, che variano in funzione della disciplina praticata e che vanno effettuate con perseveranza e intensità durante gli allenamenti.

Vincenzo Canali, Luca Bertone
Recupero da infortunio attraverso un percorso di riprogrammazione posturale

Romain Meeusen, Susan Vrijkotte, Kevin De Pauw, Maria Francesca Piacentini
La sindrome del sovrallenamento
L’obiettivo perseguito nell’allenare atleti che praticano attività agonistica è fornire dei carichi di allenamento volti a migliorare la prestazione atletica. Durante questo processo gli atleti possono attraversare diverse fasi, che vanno dal sottoallenamento (undertraining) durante il periodo che intercorre tra le stagioni agonistiche o durante il riposo attivo o il periodo di scarico, all’eccessivo affaticamento (OR, overreaching), fino ad arrivare al sovrallenamento vero e proprio (OT, overtraining), che comporta disadattamenti e un calo della prestazione agonistica. Se protratto nel tempo, l’allenamento eccessivo si manifesta insieme ad altri fattori di stress e un recupero inadeguato e cali di prestazione possono determinare dei disadattamenti cronici che possono sfociare nella “sindrome da sovrallenamento” (OTS, overtraining syndrome). All’inizio del 2013 è stata pubblicata una dichiarazione di consenso congiunta del Collegio Europeo di Scienza dello Sport (ECSS, European College of Sports Science) e del Collegio Americano di Medicina dello Sport (ACSM, American College of Sports Medicine), su cui si basa questa pubblicazione.

Giorgio Manferdelli, Roberto Codella, Antonio La Torre  
Sport all’aria aperta. I benefici sociali, psicologici e fisici che l’ambiente può offrire
l progresso e la rapida urbanizzazione hanno apportato numerosi benefici sia all’uomo che alla società, al prezzo, tuttavia, della rapida diffusione di svariate patologie come sedentarietà, malattie metaboliche, depressione, problemi di socializzazione. I bilanci economici ne hanno risentito drammaticamente, in primis a livello urbano, quindi a livello nazionale. L’allarmante crescita globale di queste patologie sembra essere associata alla mancanza di movimento. La presente disamina passa in rassegna i benefici sociali, psicologici e fisici derivanti dalla pratica di sport all’aria aperta. Anche il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sembra aver colto questa urgenza, avendo deliberato, a partire dai Giochi Olimpici di Tokyo 2020, l’ammissione di cinque nuove discipline sportive, quasi tutte praticabili all’aperto. Questa decisione nasce dalla volontà del CIO di avvicinare e coinvolgere più da vicino i giovani alle Olimpiadi, introducendo quelli che sono gli sport più popolari a livello giovanile negli ultimi anni. I vantaggi nel praticare sport all’aria aperta sono molti, e perciò la promozione di queste attività deve essere debitamente prevista e pianificata da opportune strategie nazionali e internazionali.

Diego Azzolini
Dal gioco al gioco. Quando il bambino gioca il tempo si ferma
Osservare i bambini giocare è un’opportunità davvero singolare e consente di guardare all’intelligenza dell’essere umano da una prospettiva insolita, tanto che lo spettatore finisce per porsi innumerevoli quesiti: perché in natura esiste il gioco? Come mai gli animali superiori e gli esseri umani passano parte del loro tempo a giocare? Quale senso ha quest’attività apparentemente inutile? Dalle molteplici teorie che intorno ad esso si sono sviluppate può essere interessante ricavare una spiegazione del tutto impensata: il gioco è il sapere che si incarna. Esso è dunque un’esperienza che diventa conoscenza senza coercizione o senza che chi apprende si accorga di farlo, sia che si tratti di un linguaggio, di regole sociali, di concetti matematici o di movimenti complessi. Perché il gioco risponde al bisogno che il bambino ha di sentirsi attivo, coinvolto, rapito, entusiasmato, emozionato da quello che fa. Il testo presentato, attingendo alla grande mole di scritti ed al materiale già elaborato presente nella letteratura specifica, rivisita le teorie maggiormente accreditate e propone alcune riflessioni sull’efficacia di fare dell’esperienza di apprendimento un’esperienza di gioco, qui inteso e visto dalla parte della bambina e del bambino.

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