Carlo Vittori, storia di un allenatore

Di Giacomo Crosa, Anna Rogacien, Gianni Bondini



Carlo Vittori ha allenato molti atleti più importanti di me (al mio orgoglio, o presunzione se preferite, quel “molti” sembra eccessivo...), ma l’atleta con il quale ha vissuto più intensamente la vita credo sia proprio il sottoscritto. Soprattutto, sono stato il primo atleta nel quale poteva sfogare le sue ambizioni. Tutti i Maestri dello Sport possono esserne testimoni. Il nostro rapporto allenatore-atleta nacque nella sala biliardo dell’amata Scuola Centrale dello Sport. Novembre, o Dicembre 1966, “Crosa, che vogliamo fare?”. A quel tempo, il Lei reciproco era la premessa di ogni dialogo. “In che senso, Professore?”. E lui “Vorrei sapere se vuole allenarsi sul serio.” Che volessi allenarmi sul serio davo per scontato. Mi consideravo un saltatore in alto ambizioso. Quello che non immaginavo è che il Professore volesse occuparsi di me oltre che come allievo di Preatletismo Generale e di Atletica Leggera, anche come atleta. Ad essere sinceri non avevo alternative: i mitici, per me, Prof. Michele Autore e il Sig. Oneto dei tempi giovanili liguri erano fisicamente lontanissimi. Lontano, a Formia era anche l’amato Prof. Placanica. Con il Prof. Russo,  responsabile federale dei salti, non c’era feeling. Già avevo capito che i suoi occhi erano per altri. “Certo Professore. Da domani cominceremo. Salterò alto, può star certo, e il 50% del merito sarà suo”. Mi pentii subito di quel 50%. Tra un sorriso e l’altro trovammo l’accordo sul 30% di suo contributo. Da quel giorno, e per quasi quattro anni, il nostro rapporto fu di un’intensità straordinaria, lui un signore che aveva passato da poco i 30 anni e una vita vissuta, io un giovane di 19 anni (parliamo della metà anni ’60...) che come esperienze di vita era una risma di pagine bianche.

In quel periodo non ho mai considerato Vittori un secondo padre, ma, senza dubbio, un punto di riferimento. Che anni quegli anni all’Acqua Acetosa! La mattina studente. Il pomeriggio atleta. Con Vittori, per un motivo o per l’altro, passavo la maggior parte della giornata. Dentro le mura della Scuola, fuori delle mura della Scuola. Dentro la Scuola, lui godeva di doveroso, meritato rispetto. Non molti però lo amavano, i più refrattari erano gli allievi del primo corso. Il mio. Potrei dire che nel  microcosmo-scuola il rapporto forte che avevo con Vittori mi creò qualche problema di relazione con i miei compagni d’avventura: non tutti ovviamente e fortunatamente. Di quei problemi, sinceramente non mi curavo.

Mentre scrivo, mi rendo conto che ho vissuto con Vittori gli anni in cui io mi formavo come uomo e come atleta e lui con me gettava le basi per diventare quell’allenatore che poi è stato. Erano anni in cui Vittori non solo insegnava e allenava, ma soprattutto studiava. Non aveva tempi morti la sua giornata. La sua ambizione già si manifestava nella voglia irrequieta di sapere.
Tutto normale quando si abbeverava alla fonte del Prof. Cerquiglini, o a quella di Vincenzo Cappelletti o all’onniscienza di Giorgio Oberweger, tanto per fare qualche nome illustre. La particolarità stava che, per tamponare alcune sue lacune culturali, non aveva paura a scendere dalla cattedra e di sera convocare Felice Baldini, altro allievo saltatore della scuola, e il sottoscritto. Aveva scoperto che avevamo una discreta dimestichezza con formule fisiche che potevano aiutarlo nella comprensione dei fenomeni motori che lo interessavano. Il compianto Felice era più preparato di me. Che anni quegli anni della Scuola dello sport!

Il Professore ed io vivevamo una proficua simbiosi. Tuttavia, nessuna fusione di personalità. Mi affascinavano i suoi racconti di quando era andato a lavorare nei pozzi petroliferi in Persia (non diceva Iran) o delle galanterie del bel vivere, o ancora le sue avventure di velocista anni ’50, i personaggi curiosi del suo passato. Ho condiviso e sopportato anche le sue manie, su tutte gli acquisti rituali di calzini bianchi e camicie di Oxford azzurre, rigorosamente
da Schostal in via del Corso! Il mio tempo libero era, spesso, il suo tempo libero. Ho condiviso interminabili viaggi in 500 bianca: strade consolari per raggiungere Ascoli o vecchia Pontina e Flacca per metter piede a Formia nei giorni di festa. Andò meglio, per comodità, quando passò alla Giulietta 1300 verde. Ho condiviso anche il fumo delle sue sigarette. Ho ancora davanti agli occhi le ceneriere delle sue auto. Una persona normale se doveva far cadere la cenere lo faceva quasi con distrazione, l’importante che non cadesse sui tappetini. Lui no. La depositava in ordinati cilindretti grigi, allineati come soldatini o moderne sculture. Ho provato a imitarlo. Mi veniva da ridere... Che anni quegli anni della Scuola!
Giacomo Crosa

Carlo Vittori. Un ricordo
Ricordarlo può essere molto facile, ma anche molto difficile. Si può dire tanto o tanto poco. Il rischio in ogni caso è scadere nelle frasi fatte e in una retorica che tradirebbero prima di tutto la Persona e anche il Personaggio. Se lo facessi, tirerebbe fuori quel suo sguardo penetrante sospeso tra l’incredulo, il divertito e l’ironico, che direbbe già tutto, prima ancora di esprimere un qualche suo punto di domanda, mordace preludio del suo punto di vista (e questo è già un ricordo…). Allora provo a dare solo una personale, umana e umile testimonianza, vincendo le resistenze e il pudore di chi, non essendo abituato a esternarla, diventa custode geloso della propria memoria affettiva. Questa mia testimonianza non può che essere di stima e di affetto venendo da parte di chi, avendone condiviso i valori, ha avuto e sentito fortemente il privilegio di averne incrociato la strada. Questo è il Carlo Vittori che ho conosciuto io.

Il mio “primo giorno” di Vittori è stato anche il mio “primo giorno” di Formia tanti anni fa, in un pomeriggio invernale. Il mio compito sarebbe stato quello di seguire i parametri ematochimici degli atleti, per darne un’interpretazione adeguata in relazione ai loro programmi di allenamento, ed evitare di incorrere negli allarmismi ingiustificati sul loro stato di salute. “Pensi che mi mandarono a chiamare da un Istituto che è a 200 metri dalla scuola di Formia, e il cardiologo di allora mi disse: “Professore, stia attento che questo (Mennea) ha un inizio di infarto! Questo ha 250 di CPK!”, riporto letteralmente il passaggio di una sua intervista recente, Vittori a QA, del 26 Nov 2015. Da quel primo giorno per quasi un decennio abbiamo lavorato insieme quotidianamente, in particolare concentrando l’attenzione sull’andamento degli enzimi cosiddetti “cardiaci” nel lavoro muscolare e soprattutto nelle varie tipologie di lavoro muscolare, correlandolo anche alle varie fasi di un ciclo di allenamento.

Ma l’attenzione era anche rivolta ad altri parametri di studio (ad esempio le curve lattacidemiche) e ai comuni controlli ematochimici, che andavano valutati con attenzione sia nel caso che potessero contenere un ipotetico segnale indiretto di qualche temutissima e indesiderata pratica strana… sia a quelli più usuali, perché come era comune sentir ripetere orgogliosamente, “qui a Formia mettiamo a punto le Ferrari… non controlliamo le Cinquecento”.
Anna Rogacien, Medico responsabile Squadre Nazionali, ha collaborato con la Scuola di Formia

Vittori se n’è andato e l’atletica è più sola
Carlo Vittori, morto a 84 anni ad Ascoli alla vigilia di Natale scorso, se non fosse stato l’allenatore della “Freccia del Sud”, pur essendo il guru della velocità, non sarebbe noto oltre l’oblio della vecchiaia e della scomparsa.
Il suo rapporto con Mennea lo ha portato oltre l’oblio. Detto questo, confessiamo che il “Professore”, come lo chiamava anche la moglie Nadia parlandone, si meritava uno come Mennea. Due caratteri difficili. Vittori esigente, persino schiavista. Mennea portato al sacrificio. Il padre-padrone e il figlio un po’ discolo. Pacche sulle spalle? Neanche a parlarne. Riconoscenza palese? Ma quando mai. Ma l’Allievo senza il Professore e viceversa, divisi sarebbero stati molto meno.

Carlo Vittori, però, non può essere confinato solo sul pianeta Mennea. Sarebbe ingiusto. Il Professore era molto altro. Da atleta, da tecnico e da insegnante. Da velocista aveva un personale di otto presenze in nazionale: dal 1951 al 1958; nei 100 metri Vittori è stato campione italiano per due anni di seguito: 1952 e 1953. Proprio nel 1952 aveva fatto parte della rappresentativa azzurra ai Giochi Olimpici di Helsinki. Tuttavia non è l’atleta Vittori che l’Italia dell’atletica rimpiange e celebra. È il Professore che ha lasciato chicche di saggezza a molti livelli.
Quasi vent’anni (dal 1969 al 1986) è durata la dittatura Vittori nel settore della velocità. La Fidal di Nebiolo ha retto a liti e alle urla del testardo tecnico marchigiano. Geniale, ma intollerante. Vittori puntò su altre metodologie e specialità di allenamento: dallo studio della successione dei passi nel mezzofondo, seguendo Marcello Fiasconaro, primatista mondiale sugli 800 metri (dal 1973 al 1976), per passare all’esame dello stacco nei salti di Giacomo Crosa, sesto all’Olimpiade di Città del Messico 1968, con la misura di 2,14 metri. Mica poco. Vittori non s’è mai accontentato del possibile. Come nello studio maniacale della progressione di Donato Sabia, mondiale indoor Under 23 sui 500 metri. Un successo che qualifica la qualità di Vittori ai bordi della pista è l’incredibile medaglia d’argento della staffetta 4x100, nel 1983, al Campionato mondiale di Helsinki: Tilli, Simionato, Pavoni e l’ultima frazione  irripetibile di Mennea.

Le sorprese del Professore non sono mai finite. Vittori ha lasciato il segno anche nel calcio. Incredibile, ma vero. Perché il recupero sorprendente di Roberto Baggio, reduce da una serie d’interventi chirurgici, porta la firma di Carlo Vittori e ne fu riconoscente (allora) la primavera della Fiorentina.
Il Professore ha persino sovvertito un detto tutto italiano “chi non sa insegna”. Vittori, invece, ha dato il meglio di sé come docente alla Scuola dello Sport nei corsi triennali dei Maestri dello sport, quei dirigenti, tecnici e comunicatori che hanno formato, grazie anche al Professore, l’ossatura del Coni.

All’atletica italiana, al tirar delle somme, è mancato un erede del Professore. Forse di questo (immaginiamo) stiano discutendo animatamente Mennea e Vittori, seduti su una nuvoletta affumicata dall’ennesima Malboro del Professore.

Gianni Bondini

Per saperne di più: SDS Scuola Dello Sport, n° 108. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2016.

Nervi e cuore saldi, l'allenamento del velocista nelle sue componenti motivazionali e biologiche, Carlo Vittori. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2014.